Davide Sassoli
Ci era già molto amico, prima che gli parlassi di AKIBA; accolse la notizia con entusiasmo perché vi vide lo sbocco di una promessa che tacitamente ci eravamo fatti molti anni prima, il segno tangibile, al di là dell’amicizia personale, di strade parallele ma vicinissime ed orientate ad un unico traguardo, perché fondate sulle medesime forze ed esperienze ispiratrici: ecco, l’amicizia come progetto.
Educazione famigliare (il papà, già militare poi partigiano dopo l’8 settembre, era un autorevole intellettuale e giornalista cattolico democratico, amico di La Pira, di David Maria Turoldo, di don Milani, di tanti ricostruttori dell’Italia postfascista) e frequentazione giovanile dell’associazionismo cattolico (lo scoutismo ASCI poi Agesci) e del piccolo ed audace cenacolo di formazione politica, ecclesiale e sociale riunito da Paolo Giuntella, hanno guidato David per tutta l’adolescenza e la maturità attraverso sollecitazioni, esperienze intellettuali e morali, favorite talora dall’incontro con ospiti illustri ma di generosissima disponibilità, Moro, Bachelet, Ardigò, ma anche i preti delle borgate romane. La parte pratica, l’impegno nell’azione (che poi sfocerà nella vocazione professionale e nell’approdo alla politica) gli verrà dalla formazione scoutistica e dall’esempio e dalle esperienze pastorali e civili (don Di Liegro, la presidenza degli universitari cattolici-democratici, il soccorso nelle calamità) che lo faranno inevitabilmente approdare nel gruppo giovanile della Lega Democratica e nell’associazione che da quest’ultimo nascerà, la Rosa Bianca che resterà fino alla fine il suo riferimento per la promozione della dignità dell’uomo, per l’accoglienza ed attenzione privilegiata verso i piccoli della terra, i poveri, le vittime della violenza e dell’ingiustizia, i migranti); per questa ragione chi ne ha vissuto la vicinanza e l’esempio ha inondato di rose bianche l’emiciclo del Parlamento, rose bianche l’hanno salutato in Chiesa ed una rosa bianca è ora posata ai suoi piedi al Cimitero di Sutri.
Ecco qui era la sua forte vocazione e la decisa azione politica, già profetica, che lo rendeva così vicino e solerte verso i fratelli più piccoli e bisognosi, verso le genti in difesa e sostegno delle quali ha lanciato parole come frecce (omelia del Card.Zuppi al suo funerale) contro l’ingiustizia e l’indifferenza dei paesi europei di fronte alle morti nel Mediterraneo, alle tragedie umanitarie ai confini, agli orrori sofferti dalle vittime delle antiche e nuove guerre, di sfruttamento economico, di oppressioni statuali (le sue visite a Lesbo, ai confini polacchi, nei campi profughi in Libano). S’è detto di lui che fosse di grazia gentile, rispettoso anche dei più beceri tra coloro che se ne dichiaravano nemici, ne siamo tutti testimoni: ma accompagnava questa sua attitudine con la spietatezza della denuncia, gridata sui monti, degli egoismi nazionali e sociali, dell’ignavia sospettosa tra i popoli d’Europa e di essi verso l’Africa (già nel tempo della sua Vicepresidenza del Parlamento volle per se la responsabilità della politica di sviluppo e di aiuti ai paesi della riviera sud del Mediterraneo), consapevole (lo ripeteva ai deputati, ai capi di stato, ai rappresentanti delle organizzazioni internazionali) che quello che succede intorno non può non cambiare la nostra vita e che i problemi di uno diventano i problemi di tutti (è grazie a lui che la problematica migratoria italiana è finalmente diventata europea). Quando nella prima legislatura ebbe la delega alla politica UE dei trasporti, dichiarò che, prima di essere un tema di natura logistica, tecnica, si trattava di un formidabile strumento di aggregazione tra i popoli e che a tale superiore scopo dovevano subordinarsi progetti e programmi di intervento.
Dall’amico e maestro Paolo aveva compreso che la vita è l’Incarnazione del presente e che l’Avvenimento è la nostra guida interiore: è per questa ragione che ci è ancora e ci resterà sempre grande amico nella bella avventura di AKIBA.
Coltivo una rosa bianca,
in luglio come in gennaio,
per l’amico sincero
che mi porge la sua mano franca.
E per il crudele che mi strappa
il cuore con cui vivo,
né il cardo né ortica coltivo:
coltivo la rosa bianca.Josè Martì